lunedì 30 settembre 2013

DEVIOUS MAIDS: cameriere disperate


Se Desperate Housewives incontrasse  Revenge, Melrose Place  ed Ugly Betty, ne uscirebbe qualcosa come Devious Maids, una serie ideata da Marc Cherry (Desperate Housewives) sulla base di una serie messicana intitolata Ellas son la Alegría del Hogar che fa dell’eccesso e del camp le sue bandiere, mischiando vari generi. È una serie smaccata, dove una vena melodrammatica si unisce a mille piccoli intrighi e uno humor graffiante che nasce dal caricare il più possibile l’iperbolico snobismo della classe alta di Beverly Hills che, egoista e auto-centrata, vessa le protagoniste, cameriere povere e di origine latina.

Rosie (Dania Ramirez) dopo la morte del marito si è trasferita negli USA per lavorare e vorrebbe per portarci legalmente il figlio da cui è costretta a vivere separata che è rimasto in Messico: è impiegata, anche come bambinaia, da una coppia di attori Peri (Mariana Klaveno) e Spence Westmore (Grant Show, Melrose Place, Swingtown).

Carmen (Roselyn Sanchez) è una aspirante cantante che spera di venir notata da Alejandro (Matt Cedeño, Days of our lives), star della musica pop, guardato a vista da un’assistente personale russa, con una protesi ad una gamba, che non gli fa avvicinare nessuno; lavora accanto a Wolé Parks (Sam Alexander).

Zoila (Judy Reyes, Scrubs) lavora per Genevieve (la leggendaria Susan Lucci) insieme alla figlia adolescente Valentina (Edy Gamen) che si prende una cotta e cerca di sedurre il figlio di Genevieve, Remi (Drew Van Acker, Pretty Little Liars), contro i desideri della madre, che ritiene che i ragazzi ricchi non si innamorino mai dei domestici.

La trama parte dall’assassinio di Flora (Paula Garcés, Pilar in Sentieri), una cameriera accusata dalla padrona di casa Evelyn (Rebecca Wisocky) di avere una tresca col marito Adrian Powell (Tom Irwin). Marisol Duarte (Ana Ortis, Ugly Betty), che in realtà intende indagare sulla morte della giovane donna, per il cui omicidio è stato accusato ingiustamente il figlio (cosa che si scopre alla fine del pilot), decide di entrare nell’ambiente e si fa assumere anche lei come cameriera, degli Stappord, Taylor (Bianna Brown) e Michael (Brett Cullen).

Piccole grandi cattiverie e acidità verbali vengono elevate a forma d’arte.

In onda su Lifetime negli USA., dovrebbe debuttare in Italia su Fox Life a fine ottobre. Gli episodi della prima stagione sono 13, ma è stata rinnovata per una seconda. Fra dramma e commedia, un piacere colpevole, se si ama il genere.

venerdì 27 settembre 2013

AMERICAN HORROR STORY - COVEN: promo che sono arte

 
Ogni volta che vedo un promo di American Horror Story penso che sia pura arte. Questo qui sotto, per l’imminente inizio del terzo capitolo della serie, Coven, ne è un lampante esempio.

mercoledì 25 settembre 2013

THE BLACKLIST: il pilot


È partito The Blacklist. Impressioni a caldo dalla prima puntata: scene d’azione spettacolari come fuochi d’artificio; tanta violenza; ricorda Alias; regia originale con inquadrature inusuali; la frase da ricordare come chiave di lettura è “make it personal - rendilo personale”; James Spader potrebbe vincere l’Emmy per questo ruolo, tanto è bravo. Mi aspetto che la serie abbia successo, e se lo meriterebbe anche, ma non è nella mia lista di must-see per ora, ma solo perché non è il mio genere.  

martedì 24 settembre 2013

MEDIA STARDOM: il nuovo numero di Ol3Media

 

È uscito il nuovo numero di Ol3Media, “Media Stardom”, curato da Barbara Maio. Lo potete scaricare cliccando sul titolo. Sotto, l’indice.


Barbara Maio, Introduzione
Caterina Rossi, Divismo 2.0 tra corpo di massa e corpo d’autore: Robert Pattinson in Twilight e Cosmopolis
Clara Garavelli, A Shared Star Imagery: The Argentine Actor Ricardo Darín through Spanish Film Posters
Patricia Boyd, “I Got This:  How I Changed My Ways and Lost What Weighed Me Down”: Re-construction of Jennifer Hudson’s “Star” Identity in American Weight Loss Advertisements
Michael Angelo Tata, Adventures in Meta-celebrity: Andy Warhol and the Fame of Fame
Miriam Visalli, Marilyn contro Marilyn. Smash e la rilocazione del mito
Alberto Beltrame, Una leggenda d'artista, un divismo autorialista. Il paradigma Rossellini nella critica francese degli anni Cinquanta
Jeff Bush, The Face of Marylin
Chiara Checcaglini, Created by. L’autore-star nella serialità televisiva contemporanea
Barbara Maio, Sam Neill: un attore alla fine del mondo
Libri

lunedì 23 settembre 2013

EMMY AWARDS: i vincitori



Sono stati consegnati ieri sera i prestigiosi Emmy. Qui avevo indicato i nominati, e qui gli snobbati. Ecco sotto i vincitori:

Miglior drama
Breaking Bad
Direi scontato, specie in considerazione del fatto che la serie che chiude a fine mese, si sta facendo la reputazione di essere la migliore di tutti i tempi.


Miglior attore dramatico
Jeff Daniels, "The Newsroom"

Una delle categorie in cui chiunque avesse vinto mi sarebbe andato bene. Sono contenta per Daniels che fa un lavoro egregio e non è uno dei soliti nomi.  

Miglior attrice drammatica
Claire Danes, "Homeland"

Sarebbe stata anche la mia scelta.

Miglior attore non protagonista
Bobby Cannavale, "Boardwalk Empire"

Meritata, ma ammetto che parteggiavo per il trascurato Aaron Paul di "Breaking Bad".
Miglior attrice non protagonista
Anna Gunn, "Breaking Bad"

Sono molto contenta. È chi volevo. Non solo è meritatissimo, ma con tutto l’odio che ingiustamente si è riversato sull’attrice per via del personaggio, ne sono doppiamente contenta.

Miglior attore ospite in un drama
Dan Bucatinsky, "Scandal" 

Tifavo per The Good Wife, ma non ho visto l’interpretazione in questione, ancora.

Miglior attrice ospite in un drama
Carrie Preston, "The Good Wife" 

Meno male. Per me era un “no brainer”, come si direbbe in inglese, qualcosa su cui non c’era da scervellarsi.

Miglior sceneggiatura per un drama
Henry Bromell, "Homeland"

Miglior regia per un drama
David Fincher, "House Of Cards"


Miglior comedy
Modern Family
Una scelta magari scontata e comoda, ma che mi sta bene, anche se era ora che vincesse Louie.

Miglior attore comico
Jim Parsons, "The Big Bang Theory"
Mi piace e son contenta per lui, perché comunque è meritato,  ma avrei voluto Matt LeBlanc o in alternative Louis C.K.

Miglior attrice comica
Julia Louis-Dreyfus, "Veep"

Anche in questo caso, mi piace e son contenta perchè è meritato, ma è una vincita fotocopia e sarebbe ora di andare su qualcun altro.

Miglior attore non protagonista in una comedy
Tony Hale, "Veep"

Non avevo preferenze.
Miglior attrice non protagonista in una comedy
Merritt Wever, "Nurse Jackie"


Una buona scelta.

Migilior attore ospite in una comdy
Bob Newhart, "The Big Bang Theory"

Non poteva essere diversamente.
Miglior attrice ospite in una comedy
Melissa Leo, "Louie" 

Qualunque premio vada a “Louie” è meritato.

Miglior film per la TV/miniserie
Behind the Candelabra

Ne prendo atto, anche se tenevo per altri.
Miglior attore in un/a film per la TV/miniserie
Michael Douglas, "Behind the Candelabra" 

Atteso e meritato.

Miglior attrice in un/a film per la TV/miniserie
Laura Linney, "The Big C: Hereafter" 
La vera competizione in questa categoria era fra Jessica Lange e Elisabeth Moss. Io tendevo a propendere per quest’ultima.

Miglior attore non protagonista in un/a film per la TV/miniserie
James Cromwell, "American Horror Story: Asylum" 
Bene.  

Miglior attrice non protagonista in un/a film per la TV/miniserie
Ellen Burstyn, "Political Animals" 

Non apprezzo la miniserie, ma lei è sempre molto brava.

Miglior Reality
Undercover Boss

Miglior reality - competizione
"The Voice"


Miglior presentatore di reality
Heidi Klum & Tim Gunn, "Project Runway"

Non erano quelli per cui tenevo, ma mi sta bene.

Miglior serie di varietà
"The Colbert Report"

Sono contenta. È una vincita che mi godrò. La vera battaglia è sempre fra Jon Stewart (che ha vinto dal 2003  al 2012) e Stephen Colbert per me, ed era tempo che vincesse Colbert. Meritatissimo.

Miglior sceneggiatura per una comedy
Tina Fey and Tracey Wigfield, "30 Rock"

Miglior regia per una comedy
Gail Mancuso, "Modern Family"



sabato 21 settembre 2013

'Dare è la migliore comunicazione': spot thailandese

 
La storia forse è un po’ prevedibile: si capisce presto dove andrà a parare. Eppure nondimeno, o forse anche per quello, commuove lo spot dell’azienda thailandese True Move H che confeziona un piccolo gioiellino di umanità nello spot “Giving”, “Dare è la migliore comunicazione”. Lo potete vedere sotto. 
 
Emozionare è la migliore forma di  comunicazione, si direbbe.

venerdì 20 settembre 2013

BROOKLYN NINE-NINE: inizio impeccabile

 
Fare una sit-com sulla polizia si è sempre rivelata un’impresa ardua. Non si direbbe da quanto facile l’hanno fatta sembrare Dan Goor e Michael Schur (Parks and Recreations): quello di Brooklyn 9-9 (che al momento degli upfronts avevo rapidamente presentato qui e che ha debuttato sull’americana Fox lo scorso 17 settembre) è stato se non un pilot impeccabile – quale lo è – quanto di più ci si può avvicinare. La serie sembra puntare sull’umorismo con cuore e con l’intelligenza, anche lì dove va over the top. Ti rendi conto che è esagerato, ma funziona.
Il nuovo capitano, Ray Holt (il sempre magnifico Andre Braugher, Men of a Certain Age) vuole che indossino tutti una cravatta? Jake Peralta (Andy Samberg) il detective più brillante del gruppo, ma che detesta seguire le regole, la mette sotto la camicia, intorno al torace. Quando finalmente si decide ad indossarla, ecco che quando si alza per dare la mano al suo superiore, ti accorgi che non porta i pantaloni, ma variopinti slip che Holt invita tutta la squadra ad ammirare. Poi, in un momento rivelatorio, alla fine capisce il senso intimo dell’indossare quel capo di abbigliamento che gli è inviso. La rivalità fra Jake e la detective Amy Santiago (Melissa Fumero, Una Vita da Vivere) assicurerà ampio foraggio comico e lo stesso la cotta del timido e imbranato Charles Boyle (Joe Lo Truglio) per la serissima e tostissima Rosa Diaz (Stephanie Beatriz). La supervisione del sergente Terry Jeffords (Terry Crews) e il gossip ben informato di Gina Linetti (Chelsea Peretti) fanno da collante. Ah, e il nuovo capitano è gay: nel suo non “sembrarlo”, per così dire, ha notato Tim Goodman, finisce per essere una parodia di come in TV vengono spesso ritratti gli omosessuali.  
La serie, un po’ alla Parks and Rec, ma con qualche eco di The Office e di New Girl, in qualche maniera è sbriciolata in tanti piccoli momenti ora divertenti, ora teneri. Mi è rimasta l’impressione che bisogna curarsi la serie, all’inizio, per affezionarsi sul serio, per cogliere in ogni angolino più recondito un umorismo brioso, commovente, profondo, sconcertato, allegro e amaro allo stesso tempo.   
Schur mi ha impressionato in passato per la sua competenza non solo nel genere che scrive, ma sulla TV a tutto tondo (basta vedersi le tavole rotonde con The Hollywood Reporter a cui ha partecipato che ho postato anche qui nel mio blog). Gli do fiducia, e a giudicare da questo pilot faccio bene: Brooklyn Nine-Nine è una sit-com a cui augurare fortuna.

lunedì 16 settembre 2013

La AMC ringrazia per il successo di BREAKING BAD

 
A pochi giorni dalla finalissima di Breaking Bad (che manda in onda l’ultima puntata negli USA  il 29 settembre), The Hollywood Reporter in esclusiva segnala un poster pubblicitario (sopra) in cui la rete AMC che la manda in onda ringrazia cast, troupe,  fan e tutti quanti hanno reso la serie il fenomeno che è diventato.  

mercoledì 11 settembre 2013

BROADCHURCH: la prima stagione

 
Un ragazzino undicenne, David Latimer,  viene trovato ucciso sulla spiaggia della piccola comunità della fittizia cittadina costiera di Broadchurch: la famiglia è devastata – la madre Beth (Jodie Whittaker), impiegata nel locale ufficio del turismo; il padre Mark (Andrew Buchan), un idraulico;  la sorella adolescente Chloe (Charlotte Beaumont); la nonna Liz (Susan Brown). Gli investigatori locali,  i detective Alec Hardy (David Tennant, Doctor Who), nuovo in città, e Ellie Miller (Olivia Colman), amica di famiglia, indagano fino a scoprire l’insospettabile colpevole. Ideata e scritta da Chris Chibnall, questo è quello che narra la prima stagione di Bradchurch serie inglese (ITV) in 8 puntate che ha debuttato in madre patria lo scorso marzo e che torna con una nuova stagione il prossimo marzo.

È stato un successo travolgente e inaspettato. “Lo scorso lunedì, l’Inghilterra ha inventato la televisione… ancora una volta. Una gran quantità di persone hanno guardato lo stesso programma alla stessa ora, al momento della prima messa in onda” scrive John Ellis in The Broadchurch Case su Critical Studies in Television osservando la valenza culturale del mezzo in uno specifico momento di crisi generale, oltremanica. La serie, la più twittata di sempre, è stata definita la risposta inglese a The Killing, e Forbrydelsen, ma con differenze di atmosfera e plotting; è stata accostata a Twin Peaks, per una comunità ristretta che si scopre ricca di torbidi segreti; è stata avvicinata alla serie inglese Mayday che con scarso successo aveva debuttato poco prima. Già l’americana Fox ha annunciato un remake (e questo porta a molte riflessioni che meriterebbero un post separato).

In realtà non c’è nulla di sconvolgente o di nuovo in questo giallo che, se colpisce, è per essere semmai molto classico, alla Agatha Christie, quasi, potremmo dire, con la scoperta dell’assassino alla fine dopo aver scartato una serie di possibili sospetti. Chi sarà stato? Il padre del bambino? Nige Carter (Joe Sims), il collega del padre del ragazzo? Susan Wright (Pauline Quirke), una donna che vive sola insieme a un cane in una roulotte? Il reverendo Paul Coates (Arthur Darvill), il giovane prete con un passato di alcolismo? Tom, il suo presunto migliore amico, figlio di Ellie e Joe (Matthew Gravelle), che dice che è “contento che Danny sia morto”? Jack Marshall (David Bradley), il vecchio giornalaio che ha nel suo passato una condanna per pedofilia? Steve Connelly (Will Mellor), un sensitivo che dice di ricevere messaggi dal defunto e che l’omicida è una persona legata alla famiglia? La proprietaria di un hotel legata alla famiglia più di quanto non si credesse…? O qualcun altro ancora?

Al gusto antico si aggiungono un senso del luogo e del paesaggio davvero vibranti e, come ha ben scritto Emily Naussbaum su The New Yorker, “un’impressionante mistura di crudele intuizione e calore sentimentale che lo eleva dagli intrugli di più bassa lega”. C’è molta umanità in Broadchuch che non è privo di difetti, primo fra tutti il fatto che fa del detective Hardy – il cui nome vuole probabilmente essere un’allusione a Giuda l’Oscuro di Thomas Hardy, come è stato fatto notare da Jace Lacob -  un eroe a tutti i costi,  e mi riferisco a come hanno costruito il suo passato con la moglie.

Uno dei grandi temi della prima stagione è stata la pedofilia, e ancora di più il sospetto, l’onta che vi si accompagna. E un altro tema portante, e uno che non ho mai visto svolto prima in questo modo, è stato quello del ruolo dei media (di quelli tradizionali e dei social network, Twitter nello specifico): all’interno di una comunità, e all’interno dello show stesso. Questo argomento è stato sviluppato più esplicitamente attraverso i personaggi di Olly Stevens (Jonathan Bailey), nipote di Ellie, un giovane reporter per un quotidiano locale che aspira a far carriera, e Karen White (Vicky McClure), inviata di un tabloid londinese che in passato ha scritto su come il detective Hardy abbia mandato a monte il precedente caso su cui lavorava, ma in modo più sottile e indiretto in ogni caso è stato affrontato come un aspetto della vita che tocca e riguarda tutti i personaggi. La riflessione su questo argomento, nelle linee narrative che si intersecano, è stata pregnante.  

martedì 3 settembre 2013

TOP OF THE LAKE: la miniserie di Jane Campion

 

È probabilmente la violenza sulle donne il tema principale affrontato da Top of the lake miniserie in 7 puntate che porta la firma di Jane Campion che l’ha scritta insieme a Gererd Lee e l’ha girato insieme a Garth Davis ed è andata in onda negli USA sul Sandance Channel, dopo una prima visione al Sundance Film Festival agli inizi dell’anno (ed è stato mostrato anche alla mostra del cinema di Berlino).

Ambientato nella piccola cittadina fittizia di Laketop (in realtà Glenorcy), in Nuova Zelanda, mozza il fiato prima di tutto per l’ambientazione di una natura incontaminata, maestosa e gigante, in cui l’essere umano non è che un microscopico puntino. Qui, Tui (Jaqueline Joe) è una ragazzina che, incinta, dopo aver tentato il suicidio in un lago sparisce dalla tenuta in cui vive con il padre Matt Mitcham (Peter Mullan) e i fratelli, persone violente e dalle attività non troppo legali.  Chi abbia abusato di lei non è chiaro, né dove possa essere finita,  ma ad investigare il suo caso se lo prende a cuore la detective Robin Griffin (Elisabeth Moss, Mad Men), tornata nel paese natio a visitare la madre morente di cancro. Durante le investigazioni, Robin affronterà anche il suo passato, legato anche a Johnno Mitcham (Thomas M. Wright), fratellastro di Tui, con cui intreccia una relazione, e incontrerà un gruppo di donne, che per sfuggire agli abusi nella proprie vite vivono in comunità all’interno di alcuni container presso il lago all’interno di un terreno chiamato Paradise, guidate da una sorta di guru spirituale, GJ (Holly Hunter).

Pieno di sottili riferimenti biblici, la serie, che ha ricevuto critiche in pratica unanimemente positive, colpisce per il profondo senso di calma che trasmette: è una calma feroce che distrugge e rimane indifferente, ma è allo stesso tempo una calma che placa e seda e lenisce ogni ferita. Le tematiche che si intrecciato sono molte: quello della violenza sulle donne appunto (attraverso Tui, Robin, la madre di Robin, le donne guidate da GJ…), ma anche quello della famiglia, dell’infanzia, del potere, del passato… Elementi ricorrenti sono i daini e l’acqua. È una storia di grande suggestione dove l’investigazione della natura umana, parte di una natura più grande, è centrale almeno quanto quello dell’investigazione voluta dalle indagini di polizia.