mercoledì 28 gennaio 2015

BACKSTROM: insipido


Nonostante il solido cast, Backstrom, serie sviluppata da Hart Hanson (Bones) sulla base di libri gialli svedesi scritti da Leiss G.W. Persson, è assolutamente trascurabile, cosa che di suo non le sarà di impedimento dal diventare un successo, temo.

Le attrattive, chiamiamole così, del protagonista, il tenente Everett Backstrom (Rainn Wilson, The Office, Six Feet Under) dovrebbero essere la sua odiosità, il suo menefreghismo e il suo pessimismo: beve, fuma, mangia male compromettendo la sua salute, fa altro quando dovrebbe lavorare, è offensivo e pensa che tutte le vittime di omicidio stringi stringi se la siano cercata…ma riesce a risolvere i casi più complicati. Qualcuno lo ha paragonato a un moderno tenente Colombo, ma io non ci vedo alcuna similarità. Un paragone più azzeccato sarebbe con House, ma non ci si avvicina nemmeno per sbaglio. La sua presunta brillantezza, è molto, molto, offuscata.

Le vicende su cui investigare sono insipide, risolte in modo forzato, e in generale i rapporti con gli altri personaggi sono troppo “generici”. Nulla da segnalare né nella dinamica con la detective Nicole Gravely (Genevieve Angleson), né con il detective John Almond (Dennis Haysbert, 24). Spicca forse quella con il ragazzo che, da quello che si accenna nel pilot, dovrebbe essere un suo figlio avuto da una prostituta, Gregory Valentine (Thomas Deller), che è il suo punto di collegamento con l’altro lato della legge. Forse poteva diventarlo quello con il medico che lo visita nella prima puntata, il dottor Deb (Rizwan Manji), ma questi è indicato solo come attore ospite.

Non basta un caratteraccio a creare un affascinante anti-eroe. 

martedì 27 gennaio 2015

GIRLS: donne "post-ferite"

Leslie Jamison è entrata nel 2014 nella lista che il New York Times stila ogni fine anno sui libri più notabili con il suo The Empaphy Exams, che al mio scrivere ancora non mi risulta disponibile in traduzione italiana. Questi “Esami di Empatia” sono una raccolta di saggi che in modo più o meno diretto hanno a che vedere con questo tema. Nella sezione intitolata “Grand Unified Theory of Female Pain” (Grandiosa Teoria Unificata del Dolore Femminile), l'autrice dedica un segmento che è sottotitolato “Wound #7” (ferita numero 7) alla serie televisiva Girls. Per quanto il pezzo faccia una digressione in termini più ampi rispetto alla serie che di fatto usa come pretesto ed esempio, mi pare ne dia una lettura molto originale e acuta, e perciò riporto sotto, nella mia traduzione, il brano in proposito (che si trova all’80% nell’edizione Kindle in cui lo sto leggendo io).
Eccolo:
Ora abbiamo un programma televisivo chiamato Girls, su ragazze che soffrono, ma costantemente disconoscono la loro sofferenza. Litigano sull’affitto e i ragazzi e il tradimento, yogurt rubato e i modi in cui l’auto-compatimento struttura le loro vite. “Sei una grande, brutta ferita!” grida una. L’altra le urla di risposta: “No, sei tu la ferita!” E così palleggiano, avanti e indietro: Tu sei la ferita; tu sei la ferita. Sanno che alle donne piace reclamare il monopolio sull’essere ferite, e lo fanno notare l’una all’altra.
Queste ragazze non sono tanto ferite quanto post-ferite, e vedo le loro sorelle ovunque. L’hanno superato. Non sono una persona melodrammatica. Dio aiuti la donna che lo è. Quello che chiamerò “post-ferita” non è un cambiamento nel sentire profondo (comprendiamo che queste donne ancora soffrono), ma uno spostamento che distanzia dall’emozione ferita - queste donne sono consapevoli che “l’essere ferite” è strafatto e sovrastimato. Sono sospettose del melodramma, per cui al posto rimangono insensibili o argute. Le donne post-ferite fanno battute sull’essere ferite o diventano impazienti nei confronti delle donne che soffrono troppo. La donna post-ferita si comporta come se anticipasse certe accuse: non piangere troppo forte, non fare la vittima, non recitare di nuovo il solito ruolo. Non domandare antidolorifici di cui non hai bisogno; non dare a quei medici un’altra ragione per dubitare delle altre donne che finiscono sui loro lettini per una visita. Le donne post-ferite scopano uomini che non le amano e poi se ne sentono lievemente tristi, o semplicemente indifferenti, più di ogni cosa rifiutano di preoccuparsene, rifiutano di soffrirne – oppure sono infinitamente auto-consapevoli della posa che hanno adottato se si concedono questa sofferenza.
La posa post-ferita è claustrofobica. È esausta, dolore che diventa implicito, sarcasmo che gira rapidamente sui tacchi di qualunque cosa possa sembrare auto-compatimento. Lo vedo nelle scrittrici donne e nelle loro narratrici donne, collezioni di storie su donne vagamente insoddisfatte che non possiedono più pienamente i propri sentimenti. Il dolore è ovunque e non è da nessuna parte. Le donne post-ferite sanno che gli atteggiamenti di dolore fanno il gioco di concezioni dell’essere donna limitate e antiquate. Il loro dolore ha un nuovo linguaggio nativo parlato in diversi dialetti: sarcastico, apatico; opaco; cool e arguto. Stanno in guardia contro quei momenti in cui il melodramma o l’auto-compatimento rischiano di spezzare le curate cuciture del loro intelletto. Dovrei piuttosto chiamarla una cucitura. Ci siamo cucite da sole. Portiamo tutto alla macina.   

venerdì 23 gennaio 2015

EPISODES 4.02: amara e graffiante

 
 Episodes  è, anche in questa sua quarta stagione, autenticamente esilarante. Ci sono momenti in cui si scoppia in fragorose risate a voce alta. Forse anche per questo motivo si può concedere momenti di graffio puro, amari, amarissimi, in cui si riflette e basta, e questi sono potenti, come è il caso della scena finale della puntata 4.02.
A inizio di stagione Matt (Matt LeBlanc) si rende conto che l'uomo che gestiva il suo denaro, ora defunto, colpevole di appropriazione indebita, lo ha alleggerito di 32 milioni di dollari. È una tragedia per lui, e nonostante Sean (Stephen Mangan) e Beverly (Tamsin Greig) gli facciano notare che è ancora un uomo molto ricco, avendo perso solo metà del patrimonio, lui non si dà pace. Lo scoppiettante ping-pong verbale fra i tre, con la coppia che gli ricorda che ha ancora un ingente capitale e lui che ribadisce loro che però ha perso tantissimo, è da manuale, è da scompisciarsi: scritta bene e recitata anche meglio.
Sulla base di questa premessi, i consulenti, di Matt lo invitano a fare dei tagli finanziari, ma lui non si sente di eliminare nessuna delle voci che gli sottopongono: non il vigneto che produce bottiglie che portano il suo nome, che è in perdita, e gli costa $1100 a bottiglia; non l'aereo privat;, non la collezione di auto; non altro.
L'ultima scena vede lui recarsi sulla spiaggia dove un lavorante anziano sta raccogliendo delle alghe secche e pulendo. Matt gli dice che è dispiaciuto, che ha avuto guai finanziari, ma che volevano addirittura far rinunciare all'aereo, e deve pur porre una linea di demarcazione da qualche parte, per cui è dispiaciuto ma, nonostante diciotto anni di servizio per lui, deve licenziarlo, aggiungendo che se vuole può magari tenersi il rastrello, anche non fosse suo. E andandosene, all'uomo che ascolta e basta e non proferisce parola, suggerisce ancora qualche ultimo lavoro da fare. È agghiacciante; non fa ridere. Se qualcuno riesce a ridere è un riso amaro come pochi. È una accusa al vetriolo contro quel sistema di show-business e star-system che questa sit-com abbraccia e costantemente deride. È una detonazione che si sente forte e chiara. Ammirevole anche LeBlanc che si presta nel ruolo di un esagerato se stesso, e veri maestri gli autori.
La sottovalutata "Episodes" si conferma una delle migliori serie comiche in circolazione.
 
 
 

martedì 20 gennaio 2015

EMPIRE: smaccata e quasi parodistica

 
In Empire, che ha debuttato sull’americana Fox lo scorso 7 gennaio, Lucious Lyon (Terrence Howard), un ex-gangster poi divenuto  superstar del rap che ha creato un impero musicale nel mondo dell’hip-hop, scopre di essere malato di ALS e, in prospettiva di un ritiro professionale, vuole che a ereditare la sua posizione sia uno dei suoi tre figli, il più adatto e meritevole. Sono: Andre (Trai Byers), il più preparato dal punto di vista degli affari e il più assetato di potere, ma con poco talento e carisma musicale; Jamal (Jussie Smollett), il talentuoso musicista-cantante di cui il padre non riesce a sopportare l’omosessualità; e Hakeem (Bryshere Gray), il preferito, con un grande potenziale come artista hip-hop, ma svogliato e perditempo e che si comporta come se tutto gli fosse dovuto. Una fetta della torta la vuole anche la sua ex-moglie, Cookie (Taraji P. Henson, nomination all’Oscar per Il Curioso Caso di Benjamin Button), che è appena uscita di galera dopo 17 anni, dopo aver scontato una condanna per traffico di droga, con i cui ricavi è stato finanziato l’Empire Entertainment: “Sono qui per avere ciò che è mio”, dichiara senza mezzi termini. Alleanze e scontri nascono per assicurarsi il controllo dell’impero.
Ideata e scritta da Lee Daniels (Nominato all’Oscar per Precious) e da Danny Strong, questa soap opera del prime-time è stata definita come una “Dynasty nera”; come lo Scandal del mondo della musica; una via di mezzo fra Nashville, solo in un mondo musicale diverso da quello country, e Shakespeare, e in particolare il Re Lear, con Lucious nel ruolo del sovrano, mescolato a Il Leone d’Inverno, opera teatrale del 1966 di James Goldman a cui pure si ispira.
 La recitazione è indubbiamente di alto livello, e si attendono anche guest-star d’eccezione come Naomi Campbell e Courtney Love, eppure non solo la serie è smaccata e trash, ma il pathos è a tal punto forzato da apparire parodistico. Se le canzoni originali (di cui produttore esecutivo è Timbaland) sono potenziali ballonzolanti successi con una loro credibilità, la colonna sonora in certi momenti appare totalmente inadeguata alle vicende rappresentate.
Ci sono momenti di spessore umano anche. La relazione fra Jamal e il padre ad esempio, che Daniels dice essere autobiografica, è particolarmente realistica e inusuale. In uno dei troppi flashback vediamo Lucious letteralmente prendere di peso il figlio allora di 5 anni e portarlo fuori di casa e buttarlo nella spazzatura per il fatto di mostrarsi effeminato, con le scarpe con i tacchi della madre. Non ci si possono aspettare nuance però. Tutto come regola è eccesso ed esagerazione, e il tono e le strategie narrative sono datate. Il potenziale c’è anche, pure per diventare un successo di pubblico, e conquisterà coloro a cui piacciono gli istrionismi, ma difficilmente gli altri. È sicuramente un mondo che ha un’estetica piuttosto smaccata e la serie sembra abbracciarla con convinzione anche nella propria fattura. 

giovedì 15 gennaio 2015

Sarà speciale la puntata 7000 di BEAUTIFUL

Il prossimo 23 gennaio, Beautiful raggiunge il traguardo delle 7000 puntate negli USA, dove ha debuttato il 23 marzo del 1987, e il programma intende festeggiare questo momento con uno speciale che spezza le regole del suo format. Ci sarà un documentario retrospettivo che mostrerà i momenti più iconici della soap e la storia della creazione del programma, nato dalla fantasia di William J. Bell e Lee Phillip Bell. Ci saranno inoltre commenti del cast, uno sguardo alle star ospiti indimenticabili e alla moda negli anni, i video dei provini degli attori e altro ancora. Si prospetta come una vera goduria per i fan.

lunedì 12 gennaio 2015

GOLDEN GLOBE 2015: i vincitori


Ieri sera sono stati consegnati i prestigiosi Golden Globe. I vincitori nelle categorie televisive sono:

Miglior serie TV – drama
The Affair

Miglior serie TV – comedy

Transparent

Miglior TV Movie o Miniserie

Fargo

Miglior performance di un’attrice in TV – drama

Ruth Wilson (The Affair)

Miglior performance di un attore in TV – drama

Kevin Spacey (House of Cards)

Miglior performance di un’attrice in TV – comedy

Gina Rodriguez (Jane the Virgin)

Miglior performance di un attore in TV – comedy

Jeffrey Tambor (Transparent)

Miglior performance di un’attrice in una miniserie o TV Movie

Maggie Gyllenhaal (The Honorable Woman)

Miglior performance di un attore in una miniserie o TV Movie

Billy Bob Thornton (Fargo)

Miglior performance di un’attrice non protagonista in TV

Joanne Froggatt (Downton Abbey)

Miglior performance di un attore non protagonista in TV

Matt Bomer (The Normal Heart)


Per la lista completa dei vincitori, comprensiva della sezione cinema, si veda qui