venerdì 3 novembre 2017

MASTER OF NONE: la seconda stagione


La seconda stagione di Master of None si apre con il protagonista Dev (Aziz Ansari) che, dopo la rottura con la fidanzata Rachel (Noël Wells), si è trasferito per qualche tempo in Italia per imparare a fare la pasta. Qui incontra Francesca (Alessandra Mastronardi) - che lavora nel pastificio della nonna, e sta con Pino (Riccardo Scamarcio) – che in seguito lo raggiunge a New York per un breve periodo. La costruzione narrativa è su due archi, quello professionale, con Dev che diventa il conduttore del gioco “Clash of the Cupcakes”, ma che poi cerca altro perché quello lo stimola troppo poco, e quello personale, con l’irrompere nella sua vita di Francesca.

Allo stesso tempo, caratteristica apprezzata in un momento in cui diversi lamentano che troppa televisione rischia di diventare cinema dilatato, si mantiene forte anche l’identità episodica, con puntate universalmente celebrate come “New York, I Love You” (2.06), una serie di cartoline da New York che ci danno uno spaccato della città attraverso  segmenti di personaggi che mai avevamo visto e mai vedremo più (compresa una coppa sorda che parla solo in lingua dei segni) e con i protagonisti praticamente assenti,  e come “Thanksgiving” (2.08), che racconta attraverso le cene del ringraziamento nel corso di trenta anni la storia di coming out di Denise (Lena Waithe, che l’ha scritta insieme ad Ansari). Quest’ultima puntata, nominata anche all’Emmy per la miglior sceneggiatura, fa ripensare all’episodio 1.06 di “Cucumber”, con cui ci sono alcuni punti di contatto (specificatamente il coming out del protagonista con i familiari, e il loro ammorbidirsi nel tempo, e il rivisitarli più volte in momenti diversi nel corso della vita).

La serie non ha timore di sperimentare – “The Thief” (2.01) è in bianco e nero ed è un homage a Ladri di Biciclette di De Sica (si veda qui un video in cui sono messi a confronto); “Le Nozze” (2.02) è ambientata in Italia; “Religion” parla di cultura islamica e tradizione… - e, avendo casa su Netflix, può permettersi il lusso di avere episodi di durate diverse.

Il tema fondante di questa stagione è quello della solitudine, di quanto sia difficile trovare qualcuno con cui avere un’intesa vera, e del dolore di trovarsi innamorati di qualcuno che non è disponibile. L’arco che vede coinvolti Dev e Francesca è molto romantico, fatto di momenti dolci e intensi, casuali e significavi allo stesso tempo; la tensione erotico-sentimentale è palpabile. Si percepisce che si tratta in qualche modo di una relazione inevitabile, al di fuori dell’autentico controllo dei coinvolti, sul piano emozionale, ma sul piano dei comportamenti si rimane incerti sempre se sia la strada giusta da percorrere o meno, se sia corretto perseguire quella relazione o meno. Francesca non sa se mandare a monte tutta la sua vita, Dev non sa fino a che punto spingersi in considerazione del fatto che lei è impegnata. È amore romantico autentico e reale, nel senso che trascina come le grandi storie d’amore, ma è ancorato dai dubbi e gli ostacoli della vita reale. Non c’è favola qui, c’è la tenerezza della vita vera. Si è profondi e personali. Il finale (2.10) rimane ambiguo, perché difficile è interpretarlo – è una fantasia, un sogno, la realtà? Potremmo anche non saperlo mai, perché una terza stagione non è per il momento in programma. Non è completamente fuori questione, ma il se e il quando sono tutti da stabilire.

È stato acutamente osservato (Pop Culture Happy Hour) come il programma sia molto interessato alle forze universali che avvicinano le persone (come il cibo o l’amicizia) e come si possa ravvisare una sorta di “empatia radicale” – un anti-Woody Allen è stato definito – nell’essere amorevoli e umani guardando gli altri e nell’essere interessati alle prospettive degli altri. Un altro punto di forza deriva dall’essere culturalmente molto specifici.

Per quanto riguarda specificatamente l’Italia, suona strano sentir definire Modena un “paesino” (little village), e sicuramente c’è un po’ la tendenza tipicamente americana di guardare allo stivale con le lenti nostalgiche del passato, ma molto meno che altrove. Per fortuna si evitano stereotipi eccessivi (anche se Wired.it sembra pensarla in modo contrario), puntando piuttosto a riferimenti dotti, come il sopracitato Ladri di Biciclette, ma anche La Notte e L’Avventura e L’Eclisse di Antonioni, La Dolce Vita e 8 e ½ di Fellini -  per una guida più dettagliata ai riferimenti ai classici del grande schermo nostrano, all’interno della serie, si veda qui. I titoli citati, meno L’Eclisse e più Amarcord, sono proprio accatastati uno sull’altro, come DVD, sul comodino del protagonista nella prima puntata, e si direbbe posizionati nell’ordine in cui vengono rievocati. Ovviamente non è casuale. Gli stessi titoli delle puntate, in originale, sono in italiano, come “Amarsi un po’” (2.09) e “La Notte” (2.10).

Firmata da Aziz Ansari e Alan Yang, Master of None mescola liricismo, commento culturale e leggerezza, con tocchi tanto densi quanto apparentemente ineffabili.  

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