sabato 25 marzo 2017

TABOO: pesante


Nella serie Taboo, prodotta da BBC1 ed FX, siamo nella prima metà della seconda decade dell’Ottocento. James Delaney (Tom Hardy, The Revenant), creduto morto da tempo, torna dall’Africa nella madre patria Inghilterra in occasione del funerale del padre, morto per avvelenamento da arsenico. Eredita un piccolo ma strategico pezzo di terra, Nootka Sound, che è conteso dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, che sono in guerra. A difendere gli interessi della Corona in particolare è la Compagnia delle Indie Orientali, alla cui presidenza c’è Sir Stuart Strange (Jonathan Pryce, l’Alto Passero di Game of Thrones), che cerca con ogni mezzo di fargli cedere l’immobile. Fra loro c’è un forte braccio di ferro fatto di astuzie e violenze, a cominciare, dopo che si rifiuta di cedere, dal suo tentato omicidio, che costringe il protagonista a rivolgersi al medico americano Dumbarton (Michael Kelly, House of Cards).  In occasione della divisione dell’eredità salta fuori anche la vedova del defunto, Lorna Bow (Jessie Buckley), un’attrice. Nel tornare a casa, James ricontatta anche la sorellastra Zilpha Geary (Oona Chaplin) – quando è entrata in scena sembrava Amy Winehouse in “Back to Black” -, con cui ha avuto una relazione incestuosa. Il marito di lei, Thorne (Jafferson Hall, Vickings), non lo sopporta, e dal canto suo James, che è tornato non tutto apposto con la testa e con visioni e poteri sovrannaturali, la possiede in forma “telepatica”. Il fedele servitore Brace (David Hayman) conosce importanti segreti del passato dell’uomo.

Ideata dal Tom Hardy insieme al padre Edward Hardy e a Steven Knight (Peaky Blinders), la serie colpisce in positivo prevalentemente per la scenografia, mentre rimane la sensazione che sia altrimenti più pretenziosa che altro e che si prenda troppo sul serio. Un forte gusto per la violenza e la brutalità - gli scontri fisici fra Delaney e i suoi attentatori (1.04), il waterboarding e altre forme di tortura (1.07), la violenza domestica ai danni di Zilpha e il suo esorcismo (1.04) - e un gusto quasi felliniano per atmosfere al limite del grottesco - dalla raffigurazione delle prostitute, agli incontri di travestiti, alla rappresentazione quasi disturbante del principe reggente - aggiungono ai toni cupi un senso allucinatorio e demoniaco, e una perenne sensazione di minaccia e putrefazione. Sebbene Hardy sia un’eccellente presenza scenica sotto più punti di vista, Delaney è il tipo perennemente brooding che si esprime con poco più di monosillabi. La trama, svolta in modo lento, è avvincente ma il risultato, seppur con i suoi meriti, è ugualmente pesante.

I poteri magici sessuali dell’uomo potranno forse far riferimento alla figura folcloristica dell’incubo ma, sebbene meno risibile, non mi è sembrata più convincente, concettualmente parlando perché visivamente siamo ovviamente su un altro pianeta, di quella di Cruz Castillo e Sandra  Mills nella soap opera Santa Barbara (negli anni ’80), dove lei godeva per via telepatica quando lui faceva l’amore con la moglie Eden. Alcuni storici (cfr The Telegraph) poi si sono rammaricati della rappresentazione storicamente inaccurata della Compagnia delle Indie Orientali, dipinta come un incrocio fra la CIA, l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale, e la più potente e malvagia multinazionale sul pianeta, cosa che non era.

Alle 8 puntate della prima stagione è previsto che  seguano altre due stagioni.


mercoledì 15 marzo 2017

FLEABAG: una dark comedy dolorosa ed esilarante


Nel pilot della serie comica Fleabag (BBC3, Amazon), la protagonista arriva a casa del padre nel mezzo della notte e gli dice: “Ho l’orribile sensazione di essere una donna avida, pervertita, egoista, apatica, cinica, depravata e moralmente corrotta che non può nemmeno definirsi una femminista”. “Beh”, esita un momento il padre, “Hai preso tutto da tua madre”. All’autodemolizione del personaggio, di cui non a caso non conosciamo mai il nome (così come accade per altri all’interno della serie), ma solo il nomignolo del titolo, che potremmo tradurre in italiano come “sacco di pulci”, “topaia”, “cesso”, segue una battuta che, se fa ridere, è allo stesso tempo spietata. Rende bene il tono della serie che è inteso come uno studio sul dolore, sulla difficoltà di esprimerlo, sulle maschere e le strategie usate per coprirlo, e che, pur cedendo alla malinconia e a molta drammaticità, assicura risate vigorose, non mancando mai di lasciare come preminente un forte senso umoristico e ironico, accentuato dalla tecnica di rompere la quarta parete, per commentare con lo sguardo e le parole quanto accade e cercare la complicità dello spettatore. Se in House of Cards, che pure usa questa tecnica, accade occasionalmente, qui è un elemento ricorrente, usato con sagacia e efficacia.

Fleabag -  a cui dà il volto Phoebe Waller-Bridge, che ha sviluppato la serie sulla base di un’opera teatrale da lei stessa scritta e interpretata -  è una giovane londinese che gestisce da sola, dopo che la sua amica e partner in affari Boo (Jenny Reinsford) è accidentalmente morta, un locale in crisi che ha come logo e leit motiv un simpatico porcellino d’India. Ha perso la madre in giovane età, e nella sua vita ci sono la sorella Claire (Sian Clifford), bella, posata e di successo, sposata con Martin (Martin Gelman),  il padre (Bill Paterson) emotivamente distante e una matrigna (Olivia Colman) passivo-aggressiva che lei non sopporta e da cui ruba una piccola scultura a inizio di stagione. Ha una serie di relazioni con uomini diversi: da tempo, a intermittenza, con Harry (High Skinner); brevemente con “il roditore dell’autobus” (Jamie Demetriou), un ragazzo dai denti sporgenti; con l’attraente “arsehole guy” (Ben Aldridge), dove il nickname potrebbe sì significare “il tipo stronzo”, ma qui è da intendersi in modo più letterale come il “ragazzo del buco del culo” per il fatto che ama il sesso anale. Nella sua vita ha un posto anche il manager di una banca (Hugh Dennis) a cui lei si rivolge, senza successo, per un prestito.

Fleabag si comporta come una ragazzina dispettosa e un po’ fuori di testa, pronta sempre a combinarne una, allegramente diabolica, offensiva anche, o comunque senza filtri o senso di appropriatezza - la “sorpresa” nella doccia fatta al suo fidanzato fa scompisciare dal ridere anche solo a pensarci ed emblematico è il suo comportamento in occasione di una sorta di ritiro in cui a lei a alla sorella viene richiesto di rimanere in silenzio. Agisce con distacco e menefreghismo, è triste, auto-distruttiva e intensamente sola  - in fondo il suo rompere la quarta parete è un segno di alienazione, quasi un appigliarsi a un esterno dove la sua realtà non le basta. È cupa e briosa allo stesso tempo. Con una riuscita mescolanza di commedia e tragedia si parla di fragilità e connessione umana.  “Penso che [il mio obiettivo] fosse davvero di parlare di amicizia in un modo che evitasse il sentimentalismo delle migliori amiche per sempre, e anche di mostrare come possiamo darla per scontata, e la perdita, la profonda perdita di qualcuno che ti conosce meglio di chiunque altro” (AV Club)Una dark comedy che è uno dei migliori debutti del 2016.   

sabato 4 marzo 2017

TIMELESS: avventure in viaggio nel tempo


È il genere di telefilm che non è soddisfatto se non c’è almeno una scazzottata o una sparatoria a puntata: tenuto a mente questo, Timeless ha quella stessa certa ingenua godibilità che hanno i suoi precursori di storie di viaggio nel tempo come Quantum Leap o Voyagers! - I Viaggiatori del Tempo

Garcia Flynn (Goran Višnjić, ER) ruba dai laboratori dell’ideatore Connor Mason (Paterson Joseph) una macchina del tempo, intenzionato a modificare il passato per scopi personali, e il governo arruola la professoressa di storia Lucy Preston (Abigail Spencer, Rectify), il militare della Delta Force Wyatt Logan (Matt Lanter, 90210) e l’ingegnere Rufus Carlin (Malcolm Barrett, The Hurt Locker) per fermarlo, utilizzando il prototipo di una navicella più piccola, una “Lifeboat”, una scialuppa di salvataggio. I tre vengono affidati a un’agente del dipartimento di sicurezza nazionale, Denise Christopher (Sakina Jaffrey), e fra i programmatori c’è la fidanzata di Rufus (Claudia Doumit).

Ideata da due nomi di rilievo dell’industria televisiva, Shawn Ryan (The Shield) e Eric Kripke (Supernatural, Revolution), lo storytelling rimbalza con agilità di puntata in puntata in diversi momenti storici (in gran parte legati agli Stati Uniti): il disastro Hindenburg (1.01), l’assassinio di Lincoln (1.02), lo scandalo Watergate (1.06), la missione dell’Apollo 11 (1.08), Bonnie e Clyde (1.09), Jesse James (1.12), Al Capone (1.15)… Alla narrativa verticale autoconclusiva se ne affianca una orizzontale carburata dalla presenza di una società segreta, la Rittenhouse, che nel tempo cerca di dirigere gli eventi storici a proprio piacimento agendo per scopi che sono ovviamente loschi, nebulosi e segretissimi. Lucy scopre di essere più collegata a tutto questo di quanto vorrebbe, e Flynn è in possesso di un diario scritto nel futuro di Lucy che dimostrerebbe come lui in realtà è dalla parte della ragione.
 
Gli spostamenti nel tempo sono molto meccanici: l’apparecchio con cui si muovono è una grande palla che si apre come un occhio, circondata da due fasce metalliche che ruotano vorticosamente. È quasi pittoresca nel suo essere all’antica e quasi umoristica per come causa una folata di vento sui presenti quando parte. Si sorride, e in questo caso è voluto, anche dei nomi finti che i personaggi si attribuiscono chiamandosi come persone o figure della cultura pop.

Tutti i protagonisti – interpretati da un solido cast - sono in qualche maniera motivati da ragioni familiari. Il cattivo della situazione Flynn vuole cambiare gli eventi che hanno portato al potere la Rittenhouse, colpevole a suo dire dell’assassino di sua moglie e figlia, che vuole riavere; Wyatt, vedovo inconsolabile, pure vuole riportare in vita la moglie; Lucy, il cui primo viaggio ha cancellato la sorella dall’esistenza, vuole che possa esserle restituita; Rufus, che in quanto nero non vede di buon occhio dover andare in epoche storiche in cui la vita per quelli con il suo colore di pelle era anche peggiore di ora, e che è l’unico in grado di pilotare la navicella, viene costretto a registrare quanto avviene nel passato sotto minaccia di violenza alle persone a cui tiene.

C’è l’eterno dilemma etico-morale di questo genere di avventure, ovvero se sia giusto e legittimo modificare il passato, e una certa sincera fiducia che quello che ci tramandano i libri di storia sia la verità.  Ne esce un’avventuretta gradevole, ma poco più. Se una qualche riflessione su come si sono modificati i costumi e sull’impatto sociale di determinati eventi c’è, è solo tangenziale e superficiale.