giovedì 22 febbraio 2018

THE YOUNG POPE: onirico e destabilizzante


È vagamente onirico e fortemente destabilizzante The Young Pope, la serie scritta e diretta da Paolo Sorrentino (una co-produzione internazionale in Italia andata in onda su Sky Atlantic nel 2016).

Lenny Belardo (Jude Law) è il primo americano eletto al soglio pontificio con il nome di Pio XIII: è giovane, bello, prestante, apparentemente mite, ma megalomane; e non crede in Dio, pur pregandolo con un tono che è più di pretesa che altro. Lo hanno scelto conoscendolo poco, pensando di poterlo facilmente manipolare, e lui invece si rivela presto un ultraconservatore dittatoriale, che rifugge da qualunque attenzione pubblica (non vuole farsi fotografare né vedere), adotta una linea intransigente e viene percepito come una via di mezzo fra un pazzo esaltato e un santo. Suo mentore è il cardinale Michael Spencer (un James Cromwell che, come sempre, è in grado di incutere terrore come pochi), un religioso che aspirava lui stesso al ruolo di capo delle chiesa cattolica e che è adirato di non esserlo. A consigliare Lenny, e a istruirlo sui meccanismi dello Stato Vaticano c’è il potente cardinale Angelo Voiello (un convincente Silvio Orlando, che è gustoso sentire recitare in inglese), Segretario di Stato della Santa Sede. Non gli sfuggono le finezze diplomatiche per ottenere ciò che vuole, ma si rivela presto anche molto umano. Dopo un iniziale scontro di venute, Sofia Dubois (Cécile de France), responsabile del marketing e della comunicazione, riesce a cogliere lo spirito del neopapa. Ad ascoltarne le confessioni è don Tommaso (Marcello Romolo), mentre a monsignor Bernardo Gutierrez (Javier Cámara) viene affidato il compito di indagare sui casi di pedofilia.

Lenny, abbandonato in orfanatrofio da piccolo e cresciuto dalle suore, viene accompagnato nel suo nuovo ruolo dalla religiosa che da bimbo ha finito per diventare per lui una figura materna, suor Mary (Diane Keaton, nell’unico ruolo femminile davvero corposo della serie), e presto chiama a sé come prefetto per la Congregazione per il Clero anche il suo più caro amico d’infanzia, il cardinal Dussolier (Scott Shepherd). Pio XIII si interessa della sorte di Esther (Ludvine Sagnier)  moglie di una guardia svizzera, che agogna di diventare madre nonostante sia sterile. 

La serie, che si muove per evanescenti suggestioni, è spiazzante fin dall’esordio: dal pilot si esce con un’idea di papa che poi è diversa per come si costruisce nelle puntate successive, facendo fare al pubblico lo stesso percorso dei cardinali, ovvero lasciando l’impressione di aver riposto la propria fiducia sulla base di una prima impressione che si dimostra in seguito erronea. Si indaga innanzitutto la figura di un uomo potente, al vertice di una macchina che pende dalle sue labbra e che è a lui completamente sottomessa, e dell’esaltazione e dei rischi che questo genere di ruolo può provocare. Non ci si tira indietro intimoriti dai vizi di uomini (e donne) e dai peccati della chiesa, alcuni tali per le regole che la chiesa si autoimpone: menzogne, abuso di sostanze, relazioni sessuali di ogni genere e tipo, arroganza, violenze…

La solitudine è un elemento catalizzatore di molta della realtà dello schermo. Lenny è ossessionato dal fatto di essere stato abbandonato dai propri genitori, e il fatto di essere inarrivabile come pontefice amplifica questa sensazione. Gli altri personaggi (Voiello, Mary e Dussolier in particolare) pure riflettono molto sulle proprie scelte e quello che comporta in termini di rapporti umani. L’amore è anche un tema forte.

Il confine fra potere, macchinazioni politiche e ideali è sempre presente, così come la riflessione su quali valori la società attuale sia disposta ad accettare e che cosa susciti interesse, ed eliciti mistero e devozione. Speculazioni filosofiche impregnano tutto il tessuto narrativo ed è anche illuminante osservare la modalità in cui certe discussioni vengono portate avanti. Quando verso la fine della stagione Lenny e il cardinale Spencer trattano il tema dell’aborto, il loro ping-ping verbale è fatto di citazioni alle scritture e alla tradizione: le donne e le loro vite sono irrilevanti, inascoltate. 

La regia è un tutt’uno con la sceneggiatura, ne compartecipa lo spirito  - e se il primo ruolo è sempre e solo di Sorrentino, il secondo lo condivide con altri autori – con il personaggio principale molto spesso inquadrato solo dalla vita in su, a dare l’impressione che si innalzi e troneggi (con una tecnica che pare sia stata ereditata da Spike Lee).

La sigla vede il protagonista incedere diretto con sullo sfondo una serie di quadri della traduzione cattolica -  qui quali sono -  che “si animano” al passaggio della stella cometa che li attraversa. Si chiude con Pio XIII che si gira verso la telecamera facendo un occhiolino e, mentre lui esce di scena, quella “stella cadente” diventa un meteorite che colpisce una statua di Giovanni Paolo II (citazione di un’opera di Cattelan che questo mostra). È a un tempo simbolica (una camminata attraverso secoli di storia della chiesa) e irriverente.
 
Inevitabile, in un certo qual modo, la conclusione. È prevista una seconda stagione.  

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